Storia

L’alienazione parentale, ben prima della sistematica trattazione fornita da Gardner negli anni ’80, è attestata in procedimenti giuridici a partire almeno dagli anni 1820, e compare nella letteratura scientifica sulla salute mentale a partire dagli anni 1940.

Inoltre, il plagio dei minori contro uno o ambedue i genitori ha testimonianza storiche importanti. Il figlio di Maria Antonietta ad esempio venne indotto dai carcerieri ad accusare la madre di incesto attraverso una tipica operazione di “lavaggio del cervello”.

Secondo Bernet et al. (2010: 18) la prima disputa legale che presenta le dinamiche dell’alienazione parentale risale al 1818 (Westmeath vs. Westmeath). Il Marchese di Westmeath, con sua moglie Emily Cecil aveva generato nel 1814 la figlia Rosa. Il marchese picchiava la moglie e la tradiva, e i genitori si erano separati con l’accordo che la figlia sarebbe stata affidata alla madre. Però dopo una visita della figlia il padre si rifiutò di restituirla alla moglie e la inviò presso il duca di Buckingham, suo amico, vietandone gli incontri con la madre. Nel frattempo il padre e il duca attuarono nella figlia una campagna di diffamazione contro la madre, e quando a 11 anni la figlia incontrò la madre si rifiutò di baciarla e stringerle le mano, dicendo:

«Papà e il duca di Buckingham mi hanno fatto capire che tipo di donna sei. Non voglio mai più vedere la tua faccia.»

In epoca contemporanea, prima di conoscere la teoria di Gardner, Kopetski (1998 a b; 2006) esaminando 413 sentenze del Colorado tra il 1976-1990 aveva identificato 84 casi di grave alienazione.[1]

Sempre indipendentemente da Gardner, uno studio del 1991 sponsorizzato dalla American Bar Association (associazione volontaria di professionisti legali, con circa 410.000 aderenti) e dall’esplicativo titolo “Bambini tenuti in ostaggio: trattare bambini programmati e con lavaggio del cervello”, ha descritto gli esiti negativi dell’alienazione parentale sulla base dell’esame di 700 famiglie tra gli anni ’70 e ’80.[2]

Johnston (1993)[3] ha esaminato 140 casi di dispute di affido tra il 1982-90 nella zona di San Francisco, e in alcuni casi ha rilevato che “il bambino in maniera consistente denigra e rigetta l’altro genitore. Spesso questo era accompagnato da un fermo rifiuto a visitare, comunicare o avere qualcosa a che fare col genitore rifiutato”

In ambito accademico, nel 1949 Wilhelm Reich ha affermato che alcuni genitori divorziati difendono il proprio narcisismo ferito combattendo per la custodia del figlio e diffamando l’ex-coniuge. Questi genitori cercano “vendetta sul partner privandolo del piacere di avere un figlio […] Per alienare il figlio dal partner, viene raccontato che il partner è un alcolizzato o uno psicotico, senza che in queste affermazioni ci sia qualche verità” (id., 1949: 265).[4]

Nel 1953 Louise Despert parla della tentazione di un genitore di “rompere” l’amore del figlio verso l’altro genitore (id., 1953: 52).[5]

Nel 1980 Wallerstein e Kelly descrivono l’alleanza che si può instaurare tra un genitore divorziato e un figlio che “sono alleati di battaglia fedeli e validi nel danneggiare e punire l’altro genitore. Non raramente, si rivoltano contro il genitore che hanno amato e al quale sono stati molto vicini prima della separazione coniugale” (id., 1980: 77).[6]

Sulla stessa linea è anche Wallerstein e Blakeslee (1989):

«Una donna tradita da suo marito si oppone profondamente al fatto che suo figlio lo debba visitare ogni weekend […]. Non può impedire le visite, ma può piantare i semi del dubbio (‘non fidarti di tuo padre’) nella mente del figlio, e così punisce il suo ex-marito tramite il figlio […]. I padri a loro volta convincono i figli o le figlie che la madre è depravata e pericolosa” (id.: 197).»

Gardner a partire 1985 tenta di sistematizzare il concetto di alienazione genitoriale sotto l’etichetta di PAS. Lo psichiatra infantile, oltre a interviste e articoli divulgativi, ha dedicato diversi articoli accademici e monografie alla PAS che lo rendono di fatto pioniere dell’alienazione genitoriale (cf. bibliografia). La trattazione di Gardner più completa ed esaustiva, redatta con l’ausilio di 30 esperti di salute mentale, è The International Handbook of Parental Alienation Syndrome, pubblicata nel 2006 dopo il suo suicidio.

In contemporanea alle pubblicazioni di Gardner altri studiosi hanno iniziato a compiere ricerche sull’alienazione parentale. In particolare Bernet ha di fatto raccolto l’eredità di Gardner, proponendo anche l’introduzione del PAD nel DSM-5. Bernet (2010) nella bibliografia elenca circa 600 studi prodotti da ricercatori di diverse nazioni che hanno accolto e riconosciuto come valido il costrutto teorico di alienazione parentale.

Il lavoro di Gardner viene criticato da alcuni studiosi. Una critica comune e ricorrente vede l’alienazione parentale come un fenomeno inesistente, privo di adeguato riscontro nella realtà clinica e giudiziaria. Una posizione critica più moderata lo vede come effettivamente esistente, ma raro e marginale nelle dispute di custodia. Tutte le fonti che criticano l’alienazione parentale tendono a concentrarsi esclusivamente sul lavoro di Gardner, come se il fenomeno fosse conosciuto solo ed esclusivamente attraverso l’opera di questo studioso. In realtà come dimostra la lunga lista bibliografica allegata al lavoro di Bernet per il DSM gli autori che hanno studiato questo fenomeno sono molto numerosi e il tono alquanto gridato delle critiche rivolte a Gardner fa pensare ad una strategia per distogliere l’attenzione da questa scomoda realtà che viene accuratamente ignorato da questi critici. Conseguenze paradossali hanno avuto alcuni recenti tentativi di intepretare il fenomeno dell’alienazione genitoriale in modo rigidamente orientato al genere, cioè cercando di dimostrare che sono solo i padri a manipolare i figli contro le madri.

Note:

  1.  Kopetski, L.M. (1998a). “Identifying cases of parent alienation syndrome, part I”. The Colorado Lawyer, 27(2): 65–68; Kopetski, L.M. (1998b). “Identifying cases of parent alienation syndrome, part II”. The Colorado Lawyer, 27(3): 61–64; Kopetski, L.M.; Rand, D.C.; Rand R. (2006). “Incidence, gender, and false allegations of child abuse: Data on 84 parental alienation syndrome cases”. In R.A. Gardner; S.R. Sauber; D. Lorandos (a cura di). The international handbook of parental alienation syndrome: Conceptual, clinical and legal considerations. Springfield, IL: Charles C. Thomas: 65-70.
  2.  Clawar, S.S.; Rivlin, B.V. (1991). “Children held hostage: Dealing with programmed and brainwashed children”. Chicago, IL: American Bar Association.
  3. Johnston, J.R. (1993). “Children of divorce who refuse visitation”. In C. Depner, J.H. Bray (Eds.), Non-residential parenting: New vistas in family living. Newbury Park, CA: Sage: 109–135.
  4.  Reich, W. (1949). Character analysis. (3rd ed.) New York: Farrar, Straus & Giroux.
  5.  Despert, J.L. (1953). Children of divorce. New York: Doubleday.
  6.  Wallerstein, J.S.; Kelly, J.B. (1980). Surviving the breakup. New York: Basic Books.